

SILENCE IN THIS BOOK - SILENCE IN THIS SEA

Carmen De stasio

Nell’assuefazione del presunto reale, ci si è lasciati avvolgere dalla nube illusoria di una realtà

della quale si pensa di vivere e che invece porta impressi i segni estremizzati

e superficiali di uno sguardo che s’investe di altrui proiezioni.

Probabilmente la causa è da ricondurre all’effetto provocato dalla fretta di acquisire

il risultato di un apprendimento come conquista di uno spazio di appartenenza.

Dalla ricerca alla sedimentazione il salto di vanificazione della qualità è tramortito da un assoluto che, infine,

si appiattisce sulla consuetudine, così sbilanciandosi in una perdita dell’orientamento.

Nel frattempo viene a perdersi la bussola che permette nello straniamento di fermarsi

a riflettere nel dubitativo dinamico dello spazio che addensa dettagli coniugabili con il dominio recuperato di una certezza del sé.

A questo sembra tendere la visività metamorfica di Attilio Scimone nel tracciare confini destrutturanti nel Naufrago:

impegnati a disvelare la coltre sul panegirico di inconsistenze esistenziali, gli artisti scandagliano la forma per recuperarne, accanto ai contenuti,

i passaggi storici, sovente alienati ad una memoria simulatrice piuttosto che componibile nelle sue spettanze,

nei corsi e nelle ricorsività, nei ganci, nelle coerenze come nelle incongruenze.

Spartano nel gesto, il luogo dell’artista incontra così il luogo delle cose.

Qui avvalora l’azione in una storicità che sconfigge la stratificazione e dispone su piani intersecanti le caratteristiche innate di una stabilizzazione

ripulita da qualsiasi elemento aggiuntivo e, paradossalmente, disgregativo.

Nella figurazione (foto)grafica di Scimone l’immagine scarta l’appiattimento,

suscita fragore e si anima per via delle striature che, nell’impatto, provocano una violazione

alla quiete ammorbante di una tragedia che distrae la quiete.