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Hanno scritto per Attilio Scimone

...Ma queste ricerche visive acquisiscono la loro ragion d'essere quando si interpongono davanti al sorgere di una presenza

e alla freschezza di un’apparizione.

Quando le bellezze retiniche si prestano compiacentemente all’analisi, esse si decompongono e svaniscono. Si conosce la vanità delle spiegazioni pedanti della regola aurea. E troppe immagini si sotterrano sotto le loro alluvioni, come un guado del deserto.In fotografia, registrazione e manipolazione sono in promiscuità. Ma arte e decorazione sono inconciliabili. Il desiderio di armonia è comune ad entrambe, anche il ritmo, ma esse differiscono per la parte più intima e decisiva delle forme: la tensione che abita il ritmo.

La decorazione è in questo mondo e si integra con esso; l’opera d’arte si costituisce in un mondo separato. E’ per questo che essa è autonoma, e deriva il suo essere dal suo equilibrio interno....

Jean Claude Lemagny

 

...La memoria, il tempo perduto, la sua rimemorazione data dagli eventi apparentemente più banali, da quelle che Proust ha chiamato les intermittences du coeur, gli intervalli della mente tra gli istanti, nei quali la potenza dei fatti e delle cose sembra rifiorire intatta come è stata. C’è non poco di proustiano nel fotografare di Scimone. Perché Proust –come tutti nella sua epoca– viveva immerso nel bianco e nero. Per quanto oggi ci sembri singolare, infatti, ancora nei primi decenni del Novecento tutte le riproduzioni artistiche erano monocromatiche. La maggior parte dei quadri descritti da Proust e discussi dentro il suo romanzo lo scrittore li vide riprodotti in immagini fatte di bianco e di nero. Ma è stata anche questa difficoltà nel vedere il colore a rendere possibile il particolarissimo modo in cui Proust parla dei pittori e la continua creazione di colori di cui si compone la Recherche. Il bianco e nero diventa infatti la memoria che crea il mondo, il suo derularsi, diventa gli spazi, gli umani. Lo stesso accade in Scimone...

Alberto Giovanni Biuso

 

 

...Il mare come specchio, e il mare come luce racchiusa in un abisso che nulla riflette (la fotografia, sic!), ammetto che nelle mani di Scimone risolve un articolato problema, un problema che custodisce in sé vento, lentissimi tramonti, presagi di luna e il dolore del vuoto in un balsamo orizzontale salmastro che cinge la Terra e la nutre col suo evaporato sudore.

Un po' con distacco, e cioè per rispondere al circuito della forma, un po' come conseguenza di un progetto ponderato, Scimone dirige queste scene reticenti, solenni, declinate dall'alchimia delle sue metamorfosi e dal pennello delle tonalità solari, affinché le foto scandiscano sospiri e scadenze, ma estrapolando l'invisibile in una materia, traducendolo in un linguaggio inquieto, e incidendo sulla loro crosta, appena appena sonora, il ticchettio dei secondi e degli anni.

Se fosse possibile rappresentare simbolicamente quel complesso processo neurologico che definiamo "percezione", probabilmente non ci sarebbe allegoria più felice, più intima, che riferirsi a queste opere...

Dario Orphée La Mendola

 

...Attilio Scimone rappresenta una voce, uno sguardo, della storia della fotografia siciliana contemporanea ma non solo anche se certamente in questa lunga e affascinante carriera quella che è la discussione che oggi è presente anche in molti musei ed esposizioni pubbliche e private ci suggerisce oggi delle tappe con cui guardare il passato sicuramente ma senza quella nostalgia del perduto piuttosto come un elemento che va a formare un percorso sempre in divenire, per cui la sua biografia ci racconta così come le sue opere del le sue sperimentazioni degli anni settanta in cui la Sicilia grazie anche alle sua fotografia ha assunto una vera identità visuale riconoscibile anche al di là dei propri confini. Una ricerca che sul territorio e sul paesaggio si è concentrata sull’archeologia industriale che nei tempi che noi viviamo esiste un intero linguaggio che è chiamato Urbex Exploration...

Azzurra Immediato

 

...La terra metafisica”, Attilio Scimone dimostra di conoscere la sua terra al punto che può anche immaginarla fuori dallo spazio celebrativo e autoreferenziale delle visioni comuni, proiettandola in un susseguirsi di vertigini che ci aiutano a cogliere una realtà più intima e forse più vicina al vero. Le luci, dunque, poi le ombre. Scimone è siciliano, conosce l’incalzante, ostinata luce della sua terra; una luce, come ha scritto Brancati, che spesso «ti segue finché non trovi riparo», e dunque ne conosce l’opposto, quell’ombra che sembra avere una sua corporeità. La fotografia è quindi il portato di una identità e Scimone qui, dichiara il vincolo che lo lega a un territori...

Giuseppe Cicozzetti

 

...C'è in queste immagini di Attilio Scimone una presenza silenziosa, gigantesca e fondamentale: quella del filosofo Rosario Assunto, di cui il fotografo ha, nei primi anni Settanta, seguito un seminario alla facoltà di architettura di Palermo. "Per la prima volta — dice Scimone — mi avvicinavo al concetto di estetica del paesaggio. In quella occasione capii che l'immagine che noi percepiamo è strettamente connessa a una fitta rete di valori culturali e, dunque, estetici". Scimone è fotografo del paesaggio — ovvero, consapevolmente in relazione con esso — attraverso un quotidiano ritrovamento delle parole di Assunto, filosofo del paesaggio per antonomasia, che parlando di se stesso diceva: "filosofo che ama filosofare in giardino". Una frase questa in cui si riassume il culto della Bellezza intesa come una bussola dell'esistenza che ha come punto di riferimento l'unione inscindibile di natura e cultura...

Diego Mormorio

 

...Probabilmente il primo autore a cogliere l’importanza di un approccio sistematico e consapevole sulla realtà industriale in via di dismissione è Gabriele Basilico, con il suo progetto Milano ritratti di fabbriche (1978-1980) (1). Colto e attento a quello che accade nel mondo della fotografia internazionale, anche Attilio Scimone apprezza le ricerche dei Becher che lo confermano nelle sue intenzioni di usare la fotografia come una testimonianza del passato industriale e minerario della “sua” Sicilia. Curiosamente, e non a caso, il suo lavoro, più che rinviare a quello catalogico  dei Becher, ricorda alcune loro ricerche mai esposte in Italia, soprattutto il lavoro confluito poi in un libro sulla miniera di carbone Hannibal , situata nei pressi di Bochum, sempre nella Ruhr. In questo caso, infatti, i Becher e Scimone sembrano condividere un medesimo intento: salvare grazie alle immagini quel sarà distrutto, documentare un mondo interrotto, prima che scompaia del tutto. I Becher realizzano questa ricerca fotografica perché sanno che la fabbrica chiuderà nel 1973, per poi essere completamente distrutta nel 1974 (ora al suo posto sorge un triste e anonimo centro commerciale). Con lo stesso spirito di salvaguardia, Scimone inizia il suo sistematico progetto poco dopo la chiusura di tutte le miniere di zolfo, cioè prima che sia troppo tardi, prima che vengano distrutte o vandalizzate.

Gigliola Foschi

 

...I profondi neri, coniugati con i contrastati bianchi e sposati alle modulazioni di grigio, ricompongono soggetti apparentemente scontati: il campo di grano ondeggiante di spighe, lo spiaggiarsi spumoso del mare, il bosco con la verticalità dei suoi tronchi e la rugosità della loro corteccia, il flutto che accumula alghe sulla battigia, l’acqua che incendia i ciottoli del mare, la bruma che alleggerisce la delineazione del giorno, i macconi bruciati dalla luce meridiana,   le rocce levigate e assorbite dalla sabbia, l’addensarsi dei nembi e l’irradiarsi della luce del sole riflessa dalle nubi, le pietre accumulate sul puntale, i filari paralleli di stoppie, la collina coperta da margherite primaverili o la banchina della strada asfaltata segnata di nero. Come assonanze visive si accostano, di tanto in tanto, i cardi, il giacinto romano, le cannucce di palude,  composizioni still life o omaggi visivi ad altri artisti, che riecheggiano una ricerca fotografica che in parallelo  assorbe il suo interesse...

Diego Gulizia

 

 

...Intensa ed assoluta ciascuna delle sue ultime opere appartenenti al ciclo dal titolo “verso”, in cui ogni presenza di soggetto o di oggetto abita nel buio di uno spazio nero assoluto, attratta o immersa in una luce che appare, ma che mai pienamente rivela il mistero che aleggia in ciascuna scena rappresentata.

In particolare, nella serie dedicata alle figure femminili, Scimone richiama alla mente “immagini pop”, e muovendosi in questa direzione definisce la sua artisticità eclettica, impronta vitale da cui far liberamente fluire l’intimo processo creativo delle sue immaginifiche rappresentazioni fotografiche.

Tali figure diventano il pretesto di uno “rappresentazione” messa in scena nel teatro interiore di Scimone, incarnando le più diverse condizioni mentali, gli atteggiamenti umani ed i retaggi culturali che riguardano tutti noi in ogni tempo. Dalla figurazione Scimone giunge poi ad esiti puristi quasi astratti, se con tale termine si vuole intendere un’assoluta essenzialità compositiva, dove lo stile non si sovrappone al sussurro, ma lo comprende...

Antonio Vitale

 

 

La metafisica, l’idea stessa che il vero si celi dietro sensibili apparenze, frequentando posti simili è del tutto naturale. Perciò non mi sorprendono, nella fotografia di Attilio Scimone, che ad essi ha dedicato uno studio lungo quasi cinquant’anni, le prospettive multicentriche, con punti di fuga non sovrapponibili, incongruenti, che inducono l’occhio a cercare costantemente un ordine nella disposizione delle immagini; la scarsezza di figure umane che, quando ci sono, si mostrano astratte, disincarnate come statue, o come spiriti evocati in un racconto attorno a un fuoco; la pressoché assoluta noncuranza per le ombre, il cui posto è preso da graffi, macchie, sovrapposizioni, che bruciano gli argenti degli sfondi; l’insistenza di scene che, anche quando riguardano le città della Sicilia, si svolgono in un altrove imprecisato.

Nessuno degli ingredienti della pittura metafisica manca all’appello. E in effetti con la pittura l’arte di Attilio, almeno quella selezionata per questa esposizione, ha tantissimo in comune. Non, s’intende, per quanto concerne la scelta dei soggetti: lontanissimi dal pittoricismo di maniera – una sorta di neo romanticismo piagnone – di tanta fotografia siciliana, alla lunga insopportabile.

Andrea Guastella